mercoledì 20 novembre 2013

A proposito del PD e della Cancellieri

Voglio inaugurare questa riapertura del Blog proprio raccontando qualcosa a proposito dell'affaire Cancellieri.
Questa mattina leggo un post su facebook in cui si diceva che Civati non avrebbe votato la mozione di sfiducia al ministro Cancellieri, senza se e senza ma.
Nonostante il risveglio non fosse stato dei migliori, vista l'esaltazione con cui ho vissuto l'incontro di due giorni fa con Civati a Udine, mi sono chiesta: possibile? Senza se e senza ma? Ma non era stata fatta una riunione preliminare interna al partito?
Infatti.
Allora vorrei mettere le cose nell'ordine che è giusto abbiano.
Giuseppe Civati presenta la mozione al gruppo PD, se ne deve discutere, non può presentare da solo una mozione in aula e, anche senza addentrarmi in tecnicismi politici che poco servono a supportare le mie parole,mi limito a ricordare che dovrebbe essere moralmente la strada corretta da seguire: si discute con il proprio gruppo delle decisioni che si ha intenzione di prendere (servirebbero poi anche giusto 63 firme per presentare in Aula la mozione, ma possiamo anche prescindere da questo dettaglio) e lo fa in un clima tutt'altro che incline al dialogo.
Aggiungiamo pure che esponenti di spicco avevano sproloquiato sulla necessità che il ministro fosse sollevato dall'incarico in questione, salvo poi ricredersi all'ultimo, defilarsi da posizioni troppo rischiose. Non tanto per il partito, tanto meno, credetemi, per il Paese (che non è attaccato alle sottane delle Cancellieri, ma ha qualche altro problemino a cui pensare di questi tempi), quanto più per salvaguardare la propria sfera politica.
Ora, viene posto di fatto quello che lui stesso chiama "Ricatto", senza discostarsi troppo dall'effettiva sostanza: la minaccia di una caduta del Governo che di fatto è scongiurata dallo stesso articolo 95 della nostra Costituzione.
Ma, il gruppo si schiera quasi (per un'inezia sono costretta ad utilizzare la parola "quasi") compatto e la proposta di Civati viene scartata.
Detto questo, l'onorevole altro non può fare che prendere atto dalla decisione presa dal Gruppo PD e va in Aula a spiegare il perché decide di unirsi al gruppo, senza peraltro che questa delucidazione fosse necessaria, perché è semplice rispetto per l' Istituzione e per il Partito di cui lui fa parte, ricordiamocelo, e perché non intenzionato ad uscirne.
E, lasciatemelo dire, un atto di rispetto nei confronti di tutti gli elettori del PD.
Un atto di coerenza: coerenza con le sue decisioni ma ancor prima con le regole del gioco. Ed è rispettando le regole del gioco che si può pensare di cambiare, ma senza giochetti.
E se in Aula il suo intervento è stato visto come pavido, mi dispiace io ho ho visto tutta la forza e l'onestà di parlare con il rispetto del luogo in cui si trova; senza sbraitare, senza essere populista, senza che a emergere fosse la sua persona, ma unicamente il contenuto di quello che ha esposto.
Se così non fosse stato di cosa staremmo parlando? Di Civati che fa sempre di testa sua e non ha rispetto per il Partito? Di Civati che fa il colpaccio per prendere voti?
Io credo che non si debbano confondere le buone intenzioni con i colpi di testa.
Entusiasmo e spinte propulsive sono efficaci solo se controbilanciate da responsabilità (non quella che le larghe intese ci propinano come tale, sia chiaro) e rispetto.
Vorrei infine rivolgermi, a chi, iscritto al Partito Democratico, mi leggerà: vorrei che pensaste alle riunioni dei vostri circoli, se vi partecipate.
Vorrei capire se vi è mai capitato di essere in minoranza, quando non da soli a portare avanti le vostre convinzioni, le vostre mozioni: siete usciti dal Partito o avete preso atto, con senso di responsabilità, di ciò che la maggioranza decideva?
Io lo vivo a volte, nel mio piccolo. Sento sulla pelle cosa vuol dire farsi portatori di istanze che nessuno condivide. Eppure io non esco da quel partito, perché è anche mio e nonostante sia fermamente convinta delle mozioni che porto o sostengo rispetto e accetto quella che è la sintesi della maggioranza, anche quando non la condivido.
Ne critico i modi, ne vorrei cambiare le forme, ma questo si può fare solo se si conoscono le regole del gioco e le si rispettano, finché sono quelle: è la base non solo della democrazia, ma della convivenza civile.

chiara

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