domenica 24 novembre 2013

Il polveroso anfratto della Resistenza postmoderna

Ripropongo un racconto che avevo scritto un paio d'anni fa e che mi sembra in tema con queste giornate.

Una pianta ingiallita sbucava da un vaso abbandonato sul pavimento. Un poster con l’angolo superiore staccato. La parete bianca. L’intonaco scrostato.
 Sotto uno striscione azzurrino e bianco una ragazza sfogliava svogliatamente un giornale.
Le quattro.
Le mani grassocce delle ragazza afferrarono una penna e sul foglio comparve la scarna e appiattita figura di una donna blu, bianca e blu.
Le quattro e venti.
Il respiro affannato le arrossava il viso spugnoso mentre camminava su e giù nella stanza vuota, oscillando a ogni eco dei suoi passi pesanti.
Le quattro e trenta.
Non si era visto nessuno quel giorno e Valeria aveva dato la sua disponibilità fino alle sette .
Ancora due ore e mezza.
L’umidità le stava entrando nelle ossa e sapeva che fuori i suoi coetanei stavano passeggiando con un gelato in mano e il sole negli occhi.
Lei preferiva starsene in un buio tugurio col ronzare della corrente elettrica sopra la testa ad aspettare.
Si sentiva viva solo così, aspettando che entrasse qualcuno a informarsi, a chiedere notizie sulla lista, sul programma elettorale.
Lei aveva molto da dire, la sua gola bruciava spinta dalla foga delle parole che volevano uscire.
Sapeva i gesti giusti da fare, sapeva soppesare le parole e mantenersi equidistante dal centro e dalla sinistra, una perfetta esponente del centro sinistra.
Anche se dal giubbotto di jeans sbucava una scolorita t-shirt con una stella rossa, ricordo del viaggio in Messico che l’aveva poi, chissà perché, spinta li, nel buco dei moderati.
Si sistemò un ciuffo di capelli.
Le cinque e dieci.
Entrò un uomo proprio mentre si era decisa a sistemare quel poster cadente del Pd, ma interruppe volentieri il suo lavoro e salutò.
“Buonasera, posso aiutarla?”
L’uomo nascosto dal colletto alzato del trench color panna fece un cenno col capo e si appollaiò su uno sgabello, lasciando che i pantaloni eleganti lasciassero scoperte le scarpe lucide.
“Vorrei che mi spiegasse perché dovrei votarvi” disse il vecchio in tono secco aggrottando due pelose sopracciglia giallastre.
Valeria stava per iniziare l’apologia più ben costruita del dopoguerra sull’importanza dei giovani in politica e sul rinnovamento culturale quando fu attratta da un ciondolo che penzolava dal polso dell’uomo.
Quell’aquila ad ali spiegate la stava guardando in aperta sfida.
L’uomo la incalzò “Allora ragazza, perché vi dovrei votare”
La voce calda e cadenzata era accompagnata dal roteare placido della caviglia del suo interlocutore, che la stava guardando: fissi gli occhi su quelli infuocati di lei.
Valeria deglutì un’amara saliva che le corrose la gola, sciogliendo le parole che vi soggiornavano da mesi pronte ad uscire.
Si voltarono di scatto entrambi, Valeria sobbalzando e col respiro sempre più affannoso, risvegliati dal rumore secco del poster che cadeva lasciando scoperta una vecchia bandiera del Pci.
Valeria guardò dritto negli occhi l’uomo, ancora semicoperto dal bavero del suo impermeabile, lo sguardo fermo sotto una pelle marmorea.
“Perché la Resistenza non è ancora finita”



 chiara

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