Una
pianta ingiallita sbucava da un vaso abbandonato sul pavimento. Un poster con l’angolo superiore staccato. La parete bianca. L’intonaco scrostato.
Sotto
uno striscione azzurrino e bianco una ragazza sfogliava svogliatamente un
giornale.
Le quattro.
Le mani
grassocce delle ragazza afferrarono una penna e sul foglio comparve la scarna e
appiattita figura di una donna blu, bianca e blu.
Le
quattro e venti.
Il
respiro affannato le arrossava il viso spugnoso mentre camminava su e giù nella
stanza vuota, oscillando a ogni eco dei suoi passi pesanti.
Le
quattro e trenta.
Non si
era visto nessuno quel giorno e Valeria aveva dato la sua disponibilità fino
alle sette .
Ancora
due ore e mezza.
L’umidità
le stava entrando nelle ossa e sapeva che fuori i suoi coetanei stavano
passeggiando con un gelato in mano e il sole negli occhi.
Lei
preferiva starsene in un buio tugurio col ronzare della corrente elettrica
sopra la testa ad aspettare.
Si
sentiva viva solo così, aspettando che entrasse qualcuno a informarsi, a
chiedere notizie sulla lista, sul programma elettorale.
Lei
aveva molto da dire, la sua gola bruciava spinta dalla foga delle parole che
volevano uscire.
Sapeva
i gesti giusti da fare, sapeva soppesare le parole e mantenersi equidistante
dal centro e dalla sinistra, una perfetta esponente del centro sinistra.
Anche
se dal giubbotto di jeans sbucava una scolorita t-shirt con una stella rossa,
ricordo del viaggio in Messico che l’aveva poi, chissà perché, spinta li, nel
buco dei moderati.
Si
sistemò un ciuffo di capelli.
Le
cinque e dieci.
Entrò
un uomo proprio mentre si era decisa a sistemare quel poster cadente del Pd, ma
interruppe volentieri il suo lavoro e salutò.
“Buonasera,
posso aiutarla?”
L’uomo
nascosto dal colletto alzato del trench color panna fece un cenno col capo e si
appollaiò su uno sgabello, lasciando che i pantaloni eleganti lasciassero
scoperte le scarpe lucide.
“Vorrei
che mi spiegasse perché dovrei votarvi” disse il vecchio in tono secco
aggrottando due pelose sopracciglia giallastre.
Valeria
stava per iniziare l’apologia più ben costruita del dopoguerra sull’importanza
dei giovani in politica e sul rinnovamento culturale quando fu attratta da un
ciondolo che penzolava dal polso dell’uomo.
Quell’aquila
ad ali spiegate la stava guardando in aperta sfida.
L’uomo
la incalzò “Allora ragazza, perché vi dovrei votare”
La voce
calda e cadenzata era accompagnata dal roteare placido della caviglia del suo
interlocutore, che la stava guardando: fissi gli occhi su quelli infuocati di
lei.
Valeria
deglutì un’amara saliva che le corrose la gola, sciogliendo le parole che vi
soggiornavano da mesi pronte ad uscire.
Si
voltarono di scatto entrambi, Valeria sobbalzando e col respiro sempre più
affannoso, risvegliati dal rumore secco del poster che cadeva lasciando
scoperta una vecchia bandiera del Pci.
Valeria
guardò dritto negli occhi l’uomo, ancora semicoperto dal bavero del suo
impermeabile, lo sguardo fermo sotto una pelle marmorea.
“Perché
la Resistenza
non è ancora finita”
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